Il ruolo del mediatore nell’ambito dei colloqui dei richiedenti asilo anglofoni in Italia: etica e formazione

Responsabili scientifici

Fabrizio Gallai, UNINT

Area

Umanistico-linguistica

Partecipanti

Annalisa Sandrelli, UNINT
Amalia Agata Maria Amato, Università di Bologna
Claudio Bendazzoli, Università di Torino
Claudio Russello, UNINT

Anno di inizio

2022

Durata

Annuale

Abstract

Lo spoglio dei contributi editi fino ad oggi sul fenomeno della mediazione per i richiedenti asilo in Italia ha dimostrato che i lavori in questo ambito sono ancora limitati a poche aree; i pochi studi in merito (cfr. Rudvin, 2015, Mack,2005), tuttavia, raccontano una realtà simile a quella evidenziata negli altri Paesi: omissioni, aggiunte, distorsioni e altri comportamenti (eticamente) inappropriati sono ben documentati.
La questione del reclutamento è, tuttavia, specifica della realtà italiana. Secondo Mack (2005), nella realtà italiana sembrano prevalere due tipi di mediazione: la mediazione spontanea (ib: 9) e quella svolta da interpreti di trattativa italofoni (ib: 10). Alcuni degli autori che hanno partecipato alle attività di ricerca del Centro di Ricerca sull’Educazione Interculturale e la Formazione allo Sviluppo nel 2004 propendono per l’idea che il mediatore debba avere un passato migratorio; altri ritengono che basti “la frequentazione assidua degli immigranti e la conoscenza profonda di una lingua” (Santarone, 2004: 111) e che l’aspetto più importante sia la capacità di andare oltre l’atto comunicativo esplicito cogliendo tutto ciò che viene lasciato implicito. In ogni caso, che si tratti di uno straniero che funge da mediatore ad hoc o di un italofono formato, il mediatore svolge un ruolo che oscilla tra l’advocacy (difesa dei diritti di un’utente) e l’empowerment (figura imparziale che sostiene una persona, ne stimola l’autonomia e la aiuta ad applicare strategie per risolvere i propri problemi; cfr. Carbone, 2004). Infine, è indubbio che la società italiana ancora non riconosce a pieno il valore di questa professione, che non è adeguatamente remunerata (Casadei e Franceschetti, 2009; Gruppo di Lavoro Istituzionale, 2009) e che tende a essere svolta da persone con un forte senso del sociale (Rudvin e Tomassini, 2008: 250).

I materiali e i metodi di ricerca varieranno sulla base dei tre obiettivi:

  1. L’analisi micro-interazionale e macro-ideologica dei principali temi e preoccupazioni saranno evidenziati dall’analisi di videoregistrazioni dei colloqui mediati da interpreti (ottenute dalla Prefettura e trascritte tramite uso di software), messe a paragone coi verbali dell’audizione al fine di verificare se il comportamento degli interpreti segue i principali principi deontologici, “codificati e riaffermati collettivamente dai professionisti coinvolti” (Pöchhacker 2016, 167). La ricerca qualitativa di tipo esplorativo sarà condotta con la metodologia dell’analisi della conversazione, all’interno del quadro della teoria della partecipazione di Goffman (1981) e della pragmatica linguistica. 
  2. Creazione di una banca dati terminologica per la combinazione italiano-inglese. Il progetto analizzerà solamente colloqui svolti in lingua inglese poiché, secondo il Rapporto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM 2016), essa domina (62,3%) tra le lingue maggiormente note ai migranti in Italia. Nonostante la comunità di madrelingua anglofona non sia tra le più consistenti (Istat, 2020), molte tra le identità migranti in Italia, insieme all’idioma di origine, sfruttano la conoscenza della lingua inglese acquisita nel Paese di provenienza: un inglese ibrido e la lingua di origine del soggetto migrante si fondono con l’italiano o i dialetti locali (Cognigni 2019, Rizzo 2015). Si tratta perlopiù di una varietà linguistica mista, creata dai migranti di origine africana e asiatica (nigeriani, ghanesi, bengalesi, ecc.) dove l’inglese si trasforma in lingua franca, anche e soprattutto nei contesti dei colloqui dei richiedenti asilo. Sulla base di tale analisi e della letteratura previa, si esplorerà come la ricerca possa essere incorporata nei curriculum accademici e nella formazione degli utenti dei servizi di interpretazione, nonché discussa in seno a un incontro con la società.

    Infine, è indubbio che la società italiana ancora non riconosce a pieno il valore di questa professione, che non è adeguatamente remunerata (Casadei e Franceschetti, 2009; Gruppo di Lavoro Istituzionale, 2009) e che tende a essere svolta da persone con un forte senso del sociale (Rudvin e Tomassini, 2008: 250).

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